In realtà, non avrei voluto scrivere di ciò che ho provato andando in qualche minuscolo Comune delle zone montane, di quelli scossi tre anni fa.

Difficile aggiungere qualcosa di nuovo ai fiumi d’inchiostro già scritti sulle zone colpite dal terremoto. E il terzo anniversario dal sisma ha fatto scorrere altro inchiostro, a profusione, per commemorare, ricordare, accusare, rivendicare. Per continuare a sperare.

Non mi andava di imbastire uno scritto che, magari, non avrebbe aggiunto niente di nuovo a quanto già letto in questi tre ultimi, lunghi anni sulla morte e sulla distruzione portata dalle scosse, su gente delle zone montane che ha sofferto, che ha dovuto imparare a convivere con la consapevolezza che la vita che c’era prima è stata azzerata, e che toccava ricominciare da capo, o quasi.

Di sicuro, però, sapevo che una volta che mi fossi decisa, non avrei usato il termine ‘ricostruire’: sarebbe l’unico azzeccato, lo so, ma che senso ha anche il solo pronunciarlo, dopo che è stato così umiliato e svuotato di ogni contenuto?

Alla fine, ecco qui, ho buttato giù qualche riga per raccontare storie semplici, momenti che non hanno nulla di straordinario, che rappresentano la quotidianità delle persone che vivono in alcuni Comuni colpiti dal sisma, il profondo e caloroso senso di ospitalità con cui accolgono chiunque li vada a trovare, come se volessero aprire le porte delle loro case, di quei paesi i cui cuori antichi sono feriti e incerottati, ma hanno una voglia incredibile di tornare a battere forte.

barcollo

Racconto di una signora che, a Force, al termine del concerto dello straordinario musicista, (oboista per la precisione) Francesco Di Rosa, si avvicina e mi dice: <Lei segue gli eventi di RisorgiMarche? Che bella cosa che stanno facendo>. Le rispondo che, no, non riesco a seguirli, ma che sono proprio contenta di aver fatto un bel po’ di strada per arrivare a Force, proprio per assistere a uno degli appuntamenti di RisorgiMarche.

force2

<E’ bello che, quest’anno, abbiano pensato di organizzare concerti nei nostri paesi, piccoli e sperduti – prosegue la signora -, per portare fin qui il popolo di RisorgiMarche perché veda, capisca e, per qualche ora, stia con noi, con quei pochi che siamo rimasti qui>.

Non conoscevo questa signora e lei non conosceva me, ma si lancia in un elogio appassionato del suo paese, di ciò che ancora offre, della festa tradizionale che organizzano da anni e anni, in agosto, <e che non abbiamo mai interrotto, neanche dopo il terremoto. Era importante non fermarsi. L’anno scorso, sono venute tantissime persone>. Le chiedo se, vista la situazione post terremoto, la organizzavano nel parco appena fuori dalle mura. <No, l’abbiamo organizzata nel centro storico, come sempre. Non dovevamo allontanarci da qui e, anzi, dovevamo riportare qui la gente. La riproponiamo anche quest’anno. Magari torni, in quell’occasione. E’ proprio una bella festa. Non se ne pentirà>. Non dice nulla sul fatto che cade proprio a ridosso dell’anniversario del sisma.

Penso: <Ma guarda un po’, per i forcesi, un concerto come questo di RisorgiMarche è un modo per approcciare gente che arriva da ogni dove, per invitare le persone a tornare, per far sapere che ce la stanno mettendo tutta, che non è vero che è tutto perso, che non vogliono mollare e aggrapparsi a ciò che resta>.

Il fatto che questa donna stesse parlando con naturalezza dei danni del terremoto e di una immensa voglia di rinascita mentre ci troviamo nella piazza del paese, circondati a destra dal palazzo comunale inagibile; a sinistra dalla chiesa transennata e anch’essa chiusa; tutt’intorno da abitazioni e locali puntellati e disabitati, con un balcone panoramico che regala una vista spettacolare sul paesaggio circostante, mi fa toccare con mano la forza del legame dei residenti con il proprio paese, con le proprie radici. Una forza ammirevole.

<A Treia? E che andiamo a fare a Treia, a Ferragosto?> mi chiedo, guardando in lontananza il paesello del maceratese. Treia è uno dei Borghi più belli d’Italia. Le strade per arrivarci sono belle, comode, l’asfalto liscio come fosse stato steso di fresco. E’ un paese pulitissimo, ordinato, curato. Bello. E’ un paese terremotato. Lo dicono le impalcature, le transenne, i portoni chiusi delle chiese, del teatro. Mi fermo per chiedere informazioni a una signora che incrocio per strada. E’ un’anziana molto gentile, che si attarda a parlare con me, mi spiega dove andare, e quel poco che c’è da vedere <perché, purtroppo, è tutto chiuso per il terremoto. Però, la chiesa principale è aperta. E poi c’è la Pro Loco, può chiedere lì>. La ringrazio e proseguo verso il centro. I bar sono aperti, così come i ristoranti e le pizzerie, ci sono i tavolinetti in piazza. C’è gente che se ne sta seduta, a godersi un po’ di fresco. Ci sono anche turisti.

treia piazza

La signora mi raggiunge, sollecita. Per farmi un favore, era andata a controllare personalmente se l’ufficio informazioni fosse aperto: <Ma oggi è chiuso> mi riferisce con tono rammaricato. <Mi dispiace molto, ma da quando c’è stato il terremoto, niente è più come prima. Molti negozi sono stati chiusi, e difficilmente riapriranno. Si sono spostati fuori dal centro storico. E poi, mancano i giovani. Molti se ne erano andati per lavoro o per studio, altri dopo il terremoto. Sarebbe bello che tornassero, per riportare un po’ d vitalità. Loro possono farlo. Altrimenti, che ne sarà di questo paese? Che possiamo fare noi che siamo rimasti, e che siamo un po’ avanti con l’età?>.

treia panorama

Nessuna retorica, nessuna enfasi, nessuna intenzione di ispirare compassione, né di mostrare scoraggiamento o rabbia verso chi doveva fare qualcosa per cancellare le tracce del terremoto e non l’ha fatto. Questa donna è semplicemente gentile, è ospitale, si profonde in spiegazioni, vuole che la gente che arriva si senta accolta, benvoluta, gradita. Vuole lasciare una buona impressione del paese. E ci riesce benissimo.

Girovago un po’ sulla piazza, sto ammirando un panorama mozzafiato sulla vallata, quando arriva una coppia di sposi. Appena scendono dall’auto addobbata a festa, tutti quelli che si trovano in piazza li salutano con un applauso spontaneo.

treia sposi

Non li conoscono, ma che importa? Un sorriso e un buon augurio non si negano a nessuno, men che meno a novelli sposi. Questi ringraziano e si avviano per il centro, per le foto di rito. Ne vengono scattate anche sotto una delle antiche porte d’accesso al centro storico, la cui arcata è transennata.

Una bella immagine. Non trasmette tristezza, ma speranza.

C’è poco da vedere a Ripatransone. Dopo il terremoto, le chiese sono inagibili, così come la pinacoteca. E’ aperto il duomo. E’ aperto il Museo vescovile. Ma, in un pomeriggio infrasettimanale di piena estate, di gente in giro ce n’è. C’è un bel movimento. Sono per lo più turisti che passeggiano, curiosano, visitano quel che si può. L’ingresso al Museo è libero. Ci sono esposte anche alcune opere recuperate dopo il terremoto. Una visita interessante. E non perché è praticamente l’unica possibile.

Comincia a piovere, sempre più forte, ma i turisti non si scompongono: tirano fuori gli ombrelli colorati e continuano a girare. I locali pubblici sono aperti. C’è vita, in questo centro storico, ed è un piacere anche il solo passeggiare tra le antiche vie (immancabile una tappa al vicolo più stretto del mondo).

Sulla strada del ritorno, passando davanti alla piccolissima chiesa di Santa Maria della Petrella, vedo che è aperta. Val la pena entrare: il ciclo di affreschi che impreziosisce le pareti è del ‘400 ed è da ammirare.

petrella affreschi1

petrella affreschi

C’è gente che sembra stia aspettando qualcosa o qualcuno. Chi? <Oggi, dopo tre anni dal terremoto, questa chiesa viene ufficialmente riaperta – mi spiegano – e tra poco arriva anche il Vescovo>.

chiesa Santa Maria della Petrella

Man mano, arriva altra gente, famiglie con bambini piccoli, anziani. <In realtà, l’edificio aveva subito pochi danni – mi dicono altri – ma sappiamo tutti come funziona. Quando ci si mette di mezzo la burocrazia, i tempi si allungano a dismisura>. Intanto, c’è chi porta i megafoni, chi sistema l’amplificazione. Sorride la gente del posto, nel ritrovare un luogo di aggregazione, oltre di preghiera, che gli era stato precluso dopo il sisma.

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Una piccola comunità che celebra così il terzo anniversario del terremoto.

Marisa Colibazzi

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