
Quattro anni dopo il terremoto, sui Sibillini si insegue la quotidianità.
24 agosto 2020
di Marisa Colibazzi
Doveva comunque essere una vacanza, breve purtroppo, in Italia e, solo per caso è capitato di trascorrerla in mezzo ai Monti Sibillini, a Montemonaco, in un hotel dal nome evocativo ‘Monti Azzurri’ perché spiegano: <Dobbiamo capire che non dobbiamo ‘vendere’ singolarmente le nostre località, ma far passare il concetto di ‘destinazione Monti Sibillini’. Una volta che la gente li sceglie, poi scopre tutto quello che di bello c’è>. Una lezione semplice, semplice, di cui i grandi strateghi del turismo de noantri dovrebbero fare tesoro, e non limitarsi solo a parlarne. Ma tant’è.
Non era previsto, dunque, di passare alcuni giorni di relax da queste parti, per di più in concomitanza con l’anniversario, il quarto, del sisma del 2016. Ma, pur stando sul posto, non fosse stato per il solito, pigro, giro di supervisione sui social, per una sbirciatina ai quotidiani, cartacei e on line, o ai tg, non sarebbe stato affatto scontato accorgersi che sono passati quattro anni, da quando le case hanno tremato e, con esse, le vite di questa gente. Tutt’altro. E non c’è di niente di nuovo in tutto quello che si legge, che si dice, che si commenta. C’è ancora tanto, troppo da fare, e questa non è certo una novità; ci vorrebbero più cantieri e impalcature ‘vive’ in luogo di quelle statiche che vediamo da quattro anni.
<Ah, giusto, oggi sono quattro anni da che abbiamo tremato così forte> commenta, a fine giornata, un anziano vedendo che in tivvù, oggi, si parla così tanto di queste zone. Nessuna enfasi, nient’altro da aggiungere. La sua è solo una constatazione. Capita almeno una volta all’anno (in tempi di elezioni, anche due, se non tre, secondo quante volte il cittadino viene chiamato al voto) che tutti si ricordino del sisma e, riaccendano i riflettori sul cuore del centro Italia. Un giorno, forse due, poi si ripiomba nel dimenticatoio.
Ma com’è questa giornata vissuta lontano dalle celebrazioni ufficiali, tra la gente che il sisma l’ha vissuto, lo sente ancora sulla pelle, lo vede nei luoghi che, da allora, hanno completamente cambiato volto? Tanto commemorato (è sempre vivo e doloroso il ricordo delle vittime di quelle scosse) questo anniversario passa come un giorno qualunque per le persone che si incrociano lungo le vie di questo piccolo, delizioso centro storico, ma è così anche nelle altre località vicine, ugualmente, martoriate dalle scosse dell’agosto 2016, come testimoniano le impalcature, le abitazioni sventrate, ridotte a ruderi con le macerie che giacciono lì intorno, quei muri con crepe spaventose che ne hanno compromesso la stabilità, obbligando i residenti a scappare altrove.
Non credo si possa parlare di indifferenza di questa gente, né che si possa dire che non ricordino che giorno è, ma l’impressione è che ‘basta chiacchiere, ne abbiamo già sentite abbastanza’; che c’è altro a cui pensare, qualcosa di più impellente come il bisogno di continuare a darsi da fare, di sfruttare questa rinnovata attenzione per i Sibillini da parte di chi, dopo la forzata clausura della quarantena per il Covid e voglioso di stare all’aria aperta con il giusto distanziamento (potendo pure limitare l’uso della mascherina che sarà senza dubbio utile ma, accidenti, quant’è scomoda), ha scelto di andare a ristorare corpo, anima e mente, in mezzo alle montagne. In mezzo ai Sibillini.
Scambiando quattro chiacchiere con la gente che qui vive e lavora di tutto si parla fuorché di quella notte. Ci sono persone di una certa età, ma anche giovani che non se ne sono andati, come quelli che affiancano i genitori nelle attività di ristorazione o come la ragazza del Museo che, con entusiasmo e competenza, racconta la storia e le bellezze di queste terre. Per tutti loro, è un giorno come un altro. Forse non ne parlano perché non amano ripensarci, o forse perché non vogliono intristire chi vuole regalarsi qualche giorno di tranquillità, o forse, chissà, perché ‘tanto a che serve’?
Di certo c’è che non c’è voglia di parlarne, di piangersi addosso, di prendersela con chi doveva fare e non ha fatto niente, o non abbastanza, con chi aveva la possibilità di dare un aiuto concreto e serio e non l’ha fatto ma adesso torna in questi luoghi con un rinnovato carico di impegni, promesse, buoni propositi. E, sicuramente, sarà solo una coincidenza se c’è un voto da chiedere. Anche ai terremotati.
Anche per questo, girovagando per le strade tracciate sui Monti Sibillini, stupisce, ma neanche più di tanto, vedere sfrecciare tre, quattro auto blu, di quelle fiammanti, tirate a lucido, chiaramente auto di rappresentanza di politici (e di chi altri sennò?) forse dirette verso i luoghi delle celebrazioni dove bisogna esserci, possibilmente in prima fila dopo l’immancabile passerella. Non stupisce vedere quelle auto e nessuno si chiede ‘Come mai qui?’. La risposta la conoscono tutti.
Ma loro, i residenti di questi luoghi suggestivi presi d’assalto dai turisti che amano il silenzio, la tranquillità, il fresco, stare in mezzo a monti che regalano scorci spettacolari e dove i cellulari finalmente tacciono, fanno spallucce. Come a dire: ‘I politici facciano pure il loro. Noi pensiamo ad accogliere chi ci sceglie meglio che possiamo, a farci apprezzare, a invogliarli a ritornare per far ripartire, piano piano, la nostra vita economica e sociale’.
Raccontano che è almeno dagli anni ’80, che non si vedeva una così massiccia affluenza in montagna. Soprattutto nei fine settimana, i Sibillini vengono letteralmente presi d’assalto. E il primo pensiero di chi vede tornare visitatori e turisti è solo uno: sfoderare un bel sorriso, accogliere tutti con un sincero e grato ‘Benvenuti’ o un ‘Bentornati’ e far vedere che, qui, si sta tornando alla normalità.
E pazienza se il flusso di gente, a volte, è talmente abbondante che le attività e le strutture ricettive fanno fatica ad accogliere tutti. <Siamo ancora impreparati a gestire queste folle> ammettono gli operatori, consapevoli di non poter offrire un servizio all’altezza di una tale, massiccia, richiesta. Ma, vedendo la caparbietà con cui lavorano, c’è da credere che ce la metteranno tutta, anche stavolta, per dare il meglio. Vincere questa sfida significa avere più strumenti e maggiore forza per continuare a percorrere l’impervia strada della ripartenza.
L’anniversario del sisma del 2016 cade in un lunedì come tanti. Le masse della domenica non ci sono più, sono rimasti in giro pochi turisti, tra le vie risuonano le chiacchiere di chi abita qui, di chi va a fare la spesa o, più semplicemente, si ferma a prendere un caffè o si ferma in strada a scambiare due parole con un amico mentre fuma una sigaretta.
Qui, oggi, la vita scorre come sempre. Si vede solo una gran voglia di normalità.
Che siano altri, i ‘dotti medici e sapienti’ direbbe il buon Edoardo Bennato, a sbracciarsi per tracciare bilanci più o meno soddisfacenti a seconda che a parlare sia chi governa o chi sta all’opposizione, a illustrare nuovi e mirabolanti progetti, strategie e provvedimenti. Non è più questione di crederci o meno, per questa gente. Qui, si aspettano i fatti. Di parole ce ne sono state già fin troppe.
E intanto, la bella stagione, per quanto compromessa dal Covid, va sfruttata al massimo perché poi, l’inverno, qui, è lungo e solitario.