
Parole di profugo: ‘I go on’
Sangar W. è un ragazzo afghano, viene da Kabul, ha 27 anni. Laureato in scienze politiche, per sei anni ha fatto da interprete per l’esercito americano in Afghanistan. Ama scrivere, anche pensieri poetici e quando era ancora nel suo Paese, gli hanno anche pubblicato alcuni scritti.
Ah, piccola dimenticanza: Sangar W. è un profugo, uno dei tanti ragazzi che incrociamo per le nostre strade, che guardiamo con indifferenza mista a insofferenza, a diffidenza. Da un mese e mezzo vive a Porto Sant’Elpidio. Questo testo è opera sua.
Vado avanti (I go on)
Chi avrebbe pensato che un giorno sarei arrivato dove.
Ovunque, avrei immaginato girovagando per diverse valli e colline lontane, in cerca del mio riflesso nei fiumi limpidi, cercando una casa.
Cercando, assistendo, disorientato in un momento di riflessione, pregando per un posto dove riposare, per un sentiero, uno spazio che posso chiamare mio.
Vagabondo per regni lontani, da est a ovest, per trovare tutte le porte dell’umanità chiuse, tutti i cancelli dell’empatia troppo alti da raggiungere, accettando la mia sfortuna, vado avanti.
Penetrando lo spazio vuoto dentro cui mi chiedo: ‘A dove appartengo?’, mi stupisco, mi fermo e ascolto la sua risposta, invano, indugio e finalmente una voce risuona, ahimé, il suono della mia stessa voce non distinguo.
E così vado avanti cercando ancora un posto con il quale possa identificarmi, uno spazio sul quale io possa contare, un’impressione che anch’io gli appartenga. Vanamente accetto la mia fiducia non sono più un nomade non più a lungo.
Sono un’anima smarrita in cerca della mia fonte e ciò nonstante vado avanti, camminando dove i miei piedi andranno, trasportando il gravoso peso del mio corpo, in cerca di un posto dove posare la mia testa su un seme umano.
Sono un essere senza casa, una figura nomade in cerca di un’altra possibilità per vagare e penetrare il grembo della natura e trovare una casa che posso chiamare mia.
Dimmi, posso chiamarla mia?